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Piedi che aprono
mani che battono / 2 toga, tela, reps, lanciato,
broccato
2.1
La più classica opera dell'afro-telaio è un grande drappo di cotone o di seta
chiamato utsuvo:
"stoffa da uomo", si indossa come una toga romana (nella foto: utsuvo dal corredo reale
di Togbi Addo VIII, Re di Klikor).
Per assemblare questa toga africana,
occorrono da 20 a 24 strisce di tessuto, lunghe 2 bracciate ciascuna.
Prima di tutto si stende un ordito, lungo quanto la somma delle
strisce, cioè fino a 80 metri. Questa stesura di fili
colorati dà estro al tessitore di comporre rigature in
variabili frequenze. Lui già prevede però che (una
volta assemblate le strisce) le sue variazioni si ripeteranno
con costanza modulare per tutta la larghezza della toga.
2.2
Il tessitore (avolola) puo interrompere l'inevitabile
monotonia dell'ordito variando i colori della trama, così
tesse dei campi che (una volta assemblate le strisce) formeranno
una sorta di scacchiera. Un esempio è nel classico motivo Takpekpele Anloga
(nella foto), che significa (letteralmente) "Convegno di
Anloga", il summit dei diversi capi Anlo, e che inoltre
simboleggia (cromaticamente) una composizione armonica di opposti
. En passant, i motivi degli Ewe sono spesso riconosciuti
come dei precisi individui e perciò hanno nomi propri
e proprie storie.
2.3
Per variare
la stoffa anche in struttura, l'afro-telaio dispone di due paia
di licci completamente indipendenti l'uno dall'altro. Il paio
principale sta più vicino al pettine e si chiama noga, "grande
liccio". Il paio che sta in secondo piano si chiama invece
novi, "piccolo liccio".
Questa terminologia ricalca il familiare rapporto tra "grandi"
e "piccoli" fratelli. Noga, il Liccio Maggiore,
apre un passo a tela, mentre novi, il Liccio Minore,
apre un passo a reps di trama 3-3 (3 su e 3 giù fili di
ordito). Tramando con
noga (nella foto), le righe in ordito risaltano
mentre invece,
tramando
con novi (nella foto), l'ordito
scompare sotto un campo di righe trasversali. Il tessitore alterna
le sue campiture di novi e di noga in zone distinte
che, in assemblaggio, si comporranno in bordure, scacchiere o
losanghe. E' il caso di accennare che il tessitore non ricorre
mai a un progetto su carta. La sua unica misura è un'asticciola,
lunga quanto l'intervallo tra due campi di novi.
2.4
Ulteriori variazioni alla tela di noga, si ottengono aprendo
un passo di novi e inserendo
una spatola (vufublomi)(nella
foto) oltre
il pettine, nell'ordito che sta tra noga e novi.
Fino a che questa spatola sta piatta, non può interferire
nei passi di noga, ma quando la si gira di taglio, essa
riapre quel passo di novi. Qui il tessitore lancia una
trama di maggiore spessore e colore diverso, costruendo così
l'effetto kogavi "catenella,
collanina". Appena batte il pettine, la spatola si rimette
di piatto e lui può riprendere la tela con noga.
Poi rialza la spatola per lanciare nuove trame, componendo effetti
d'opera sulla tela di fondo.
2.5
Il tessitore può servirsi della spatola anche come guida
per broccare i più
vari disegni, geometrici o figurativi.
In questi casi la spatola aprirà dei passi differenti
in alcuni settori di ordito. Nelle icone più complesse,
broccherà a mano libera emblemi e animali e figure, piene
di allusioni religiose e proverbiali. Sia queste figure broccate (nella
foto) che gli effetti d'opera kogavi
, vengono creati a intervalli regolari, prevedendo una loro
simmetria nel futuro assemblaggio.
Luciano Ghersi
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