Sopra: uno scorcio dell'impeccabile allestimento.
Sotto: due stralci dal peccaminoso catalogo.
"La tessitura maya, appresa in Guatemala dall'artista di
Honolulu Akiko Kotani si sintetizza concettualmente e si fonde
ad altre esperienze in 'Pollen in winter #4'"
In 'Jubilee STOMP' di Lauren Camp: "... i diritti civili,
i diritti delle donne... cucire è la mia forza di attivismo.
E' la chance per manifestare a voce alta il mio dissenso alle
atrocità e per difendere le cose in cui credo"
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"Trame
d'Autore", la più importante (e pressoché
unica) rassegna di Fiber Art in Italia si è aperta a Chieri. Allestimento davero impeccabile
nei prestigiosi spazi dell'Imbiancheria. 60 i lavori selezionati
dalla giuria che, fra il meglio e il peggio, deve sempre scontare
l'ammissione di una quota di artisti compaesani. Questi apportano
però il loro pubblico di amici e parenti per riempire
un po' le sale. Chieri a parte, qualsiasi mostra di Fiber Art
attira ancor meno pubblico di quel poco che è attratto
da una qualsiasi mostra di arte contemporanea, specialmente se
allestita in palazzi, musei o gallerie. E' lo scotto delle sedi
prestigiose, che però, con i loro riflessi mediatici,
attraggono sponsor e autorità... cui estorcere possibilmente,
ricchi cataloghi. Perché le mostre passano, magari inosservate,
ma i cataloghi restano ad attestano. Sì, ma come?
Sfogliamo questo ricco catalogo, che dovrebbe presentarci
le opere selezionate. Be' tanto per cominciare, include anche
autori fuori concorso, tra cui due membri della stessa giuria.
Sebbene non ci fossero premi per i concorrenti, un primo autore
ha avuto il privilegio di comparire sulla copertina del catalogo
e sugli inviti, un secondo sul manifesto mentre un terzo ha avuto
la sua cartolina, con eventuale annullo filatelico. Per quanto
riguarda gli altri autori selezionati, alcuni hanno avuto diritto
a una foto a piena pagina, altri a una foto supplementare per
un dettaglio del loro lavoro. Alcuni lavori hanno avuto diritto
a un apposita foto eseguita in loco, mentre altri sono presentati
con grossolane stampe digitali. Inoltre, troppe foto (ma troppe
davvero) sono messe sottosopra. Infine, solamente alcuni autori
hanno il diritto di essere ritratti, con ulteriore foto, a illustrazione
dei vari testi critici. Insomma, chi abbia un buon fotografo
o che magari sia simpatico al Critico, in questo catalogo risulta
avvantaggiato. Sarà per questo che (ulteriore dettaglio
sgradevole), c'era in sala un bancarella, a disposizione degli
artisti che avessero da distribuire i loro personali dépliant.
Non si è fatto nemmeno troppo caso ai formulari
sottoposti agli artisti: tant'è vero che, per quelli già
presenti alla scorsa edizione, sono stati ricopiati pari pari
i testi dello scorso catalogo, curandosi solo di aggiungere ai
loro curriculum, appunto, la scorsa edizione. Il che denota una
certa presunzione, visto che ad ogni artista era qui richiesto
di segnalare non più di 5 mostre importanti. Il povero
Shao-Ji Liang qui cambia addirittura sesso, eppure almeno questo
artista non dovrebbe esser nuovo al Curatore della mostra, cioè
a Silvana Nota che, in quanto critico d'arte generico, può
forse ignorare la Biennale di Losanna, dedicata a solamnte a
Fiber Art, ma non quella di Venezia e Kassel Dokumenta, dove
appunto figura, come maschio, off-loom ed off-Fiber, il nostro
impagabile Liang.
Ma se la Nota Critica "de minimis non curat",
potrebbe impegnarsi ad inquadrare e teorizzare Fiber Art. In
effetti, dopo i protocollari saluti del Sindaco, lei ci spiega
che questa arte non è di immediata comprensione perché
l'autore qui usa la fibra come strumento linguistico. Ovvio?
mica tanto: c'è pure chi la pensa all'inverso e cioè,
che gli tutti autori siano invece strumenti di tutti i loro codici
linguistici. E' un parere assai attestato ma non è abbligatorio.
Qui sarebbe piuttosto obbligatorio che il Critico svelasse qualche
caratteristica di questa supposta lingua particolare: la fibra.
Potrebbe ricorrere alla topologia matematica, alla teoria delle
stringhe, al pensiero della complessità, alle filosofie
popolari, a sue personali investigazioni. Se fossero qui sufficenti
le competenze di un critico d'arte, allora non sarebbe neanche
il caso di intitolare questa mostra "Fiber Art": basterebbe
curarsi di "Art" senza aggettivi. Ma ciò forse
non è ancora concesso al nostro Critico, che farà
la sua gavetta in Fiber Art, accumulando cataloghi e "curatéle"
in attesa di una sua promozione.
Lasciando perdere i casi personali, Fiber Art (come in
genere l'arte) non ha soltanto aspetti formali o linguistici.
Non è una eterna categoria dello spirito ma è un
transitorio fenomeno storico, con mille impurità socio-politiche.
Ad esempio, nei regimi socialisti, ogni pittura astratta o informale
era esclusa ma chi avesse certe tendenze poteva svilupparle (insieme
con la propria carriera) in accademie ed istituti di arte tessile.
La tessitura del Bauhaus fu esclusivamente femminile, perché
le studentesse volevano che almeno questo corso fosse sottratto
alle carriere maschili. Così, eventi e istituti di Fiber
Art attecchiscono sempre su concreti substrati politici, industriali,
turistici, accademici e sessuali (nel senso di genere)... il
lavoro degli artisti ha sempre un ruolo secondario. Così
a Chieri... ma questa non è affatto una critica: è
solo un'ovvia constatazione, che potrebbe magari consolare chi
si sia stato escluso da questa selezione e misconosciuto come
Fibrartista.
Occorre invece criticare il Critico (la Nota curatrice)
che, sorvolando sul "linguaggio della fibra", sbriga
il suo compito limitandosi a descrivere episodicamente questo
o quel lavoro, con svarioni da rozzo cronista che costruisca
in redazione il suo pezzo, manipolando comunicati di agenzia.
Due esempi: l'opera in mostra di Lauren Camp non rivela gli attivismi
sociali, qui virgolettati e citati lungo 5 (cinque) righe. "La
tessitura maya, appresa in Guatemala" non "si sintetizza
concettualmente" nè in altre possibli maniere nell'opera
presentata da Akiko Kotani in questa mostra, della quale dovrebbe
curarsi la curatrice. Per cui, la Critica riscalda frattaglie
di testi curricolari (ed extra curricolari), condendo il tutto
di "suggestivo"e di "mistico" e riempiendo
infine il nostro buzzo (e la sua pagina) con indigesti sformati
di tecniche e di materiali (copia-e-incolla dagli stessi formulari
compilati dagli autori). Perciò, tre banali suggerimenti
per eventuali prossime edizioni: concedete a ogni artista 5 righe
perché descriva lui stesso la sua opera, non modificate
la sua nota biografica con svolazzi stilistici di in critichese
e, ripetiamolo, non riciclate i curriculum dei vecchi cataloghi.
Segue in catalogo un testo della Gina Morandini che, in quanto
tessitrice e artista tessile, formula almeno concetti sensati.
Après quoi, le deluge. ovvero il diluvio della
signora Claudia Cassio che, qualificandosi come "dirigente
scolastico" non abbisogna di troppi commenti. Però,
in quanto tale, dilaga per pagine e pagine del nostro ospitale
catalogo che (oltre agli artisti fuori concorso) alberga una
ricca sezione didattica. Nel didattico, apprendiamo il lieto
evento di "artisti famosi" che si contaminarono arditamente
con gli studenti della nostra Cassio. "Artisti famosi"
se non per nome, almeno per cognome: Pistoletto e Casorati, purtoppo
solo Pietra e Francesco... ma comunque di illustre famiglia.
A parte le atroci banalità dei 3 (tre) lunghi interventi
della Cassio, occorre qui citarla, quando scrive che "anche
per l'artista tessile non si tratta solamente del telaio. Evitiamo
dunque di partire da lì e di sviluppare formule semplificatorie,
che associano l'azione del tessere al suo glorioso passato artigianale,
destinato ai musei etnografici". E' ben vero che, dopo l'etnocidio,
arriva sempre l'etnologia, per celebrare culturalmente i solenni
funerali dei popoli estinti. Persino Hiter aveva previsto il
suo bel museo ebraico...
Ma la Storia fa spesso brutti scherzi, così pure
ne ne fa la Geografia. Infatti sono al mondo diversi milioni
di persone che campano e creano di tessitura. Sono purtroppo,
extracomunitari che potrebbero insidiare molti posti di artista.
Uno fra i tanti, Mensah Kpodoh del Ghana, ha recentemente partecipato
all'Artemision Festival of Fiber Art, svoltosi tra Germania e
Polonia. Rivolgendosi a un intervistatore, il fibr-artista Mensa
Kpodoh, ha risposto così all'eterna e inesausta questione:
"che cos'è Fiber Art": "E' la tessitura
tradizionale". Poi ha aggiunto sorridendo " Ma tutto
è Fiber Art!".
vedi
anche: il
Venerdì dell'Art Wear
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