Dushanbè, Tagikistan |
Sorvoliamo sugli aspetti economici di questo
progetto, che saranno magari giustificabili. Guardiamo piuttosto
agli aspetti culturali e, cioè, alla pura tessitura. Questo
telaio qui nella foto, sembra fatto con dei tubi smaltati e perciò
importato da qualche paese ricco, dove può facilmente
costare i suoi 800 $. Ma possibile che in tutto il Tagikistan
non si trovino più 4 pezzi di legno per mettere insieme
un telaio? Non è ripeto, una questione economica. Ho incontrato personalmente in India (Shantimalai Trust, Tiruvannamalai, Tamil Nadu) delle ragazze istruite a lavorare su telai e telaini, tutti importati dagli Stati Uniti. Quando si rompeva un pezzo qualsiasi non c'era il ricambio e si faticava per ricostruirlo. La maestra era tornata in America dopo la meravigliosa esperienza, lasciando però alle ragazze qualche manuale in Inglese: illeggibile. Ovviamente, ci sarebbero in India milioni di telai indiani, di falegnami indiani in grado di costruirli... e di mastri tessitori indiani. Poi arriva in aereo un professorino di tessitura, con i suoi telaini da campioni, che pretende "insegnare al culo a cacare". Asia, IndoAmerica e Africa, sono piene di figuri del genere, che sono persino convinti di fare del bene. La via dell'imperialismo è lastricata, da sempre, di buone intenzioni. Luciano Ghersi, 11 mar 2002 |
"Un tappeto
tradizionale: l'opera è quasi terminata."(immagini
da www.cesvi.org) |
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Cesvi inaugura a Dushanbè,
in Tagikistan, un laboratorio di tessitura per le donne afghane |
Le organizzazioni umanitarie sono diventate un business |
04/02/02
La raccolta fondi promossa
dal Cesvi ha permesso di acquistare una fornitura di lana e tre
telai (del costo di 800 dollari ciascuno), grazie ai quali è
stato inaugurato, in collaborazione con la ong locale APRAWC
(Association of Rights of Afghan Women and Children),
un piccolo laboratorio di tessitura di tappeti tradizionali a
Dushanbè, capitale del Tagikistan. Qui hanno trovato lavoro
molte donne afghane, che da anni hanno lasciato il loro Paese,
rifugiandosi in Tagikistan per sfuggire allíatrocità
delle guerre. |
"Ho l'impressione
che certe ONG approfittino della sofferenza, reale, della gente
per giustificare la loro esistenza e accrescere la loro "quota
di mercato". La loro principale ragion d'essere è
ormai di perpetuarsi e il vero "beneficato" è
la loro stessa burocrazia (...) Quando le ONG dichiarano che
l'80% del loro budget va "sul campo" evitano di precisare
che "il campo" comprende i salari di quanti, rimanendo
nelle loro sedi, lavorano più o meno lontano dalle missioni.(...)
Oggi, il donatore medio guadagna 3 o 4 volte di meno di un dirigente
ONG (... ) Molte ONG sono Associazioni soltanto per il loro statuto
fiscale privilegiato e perché non distrubuiscono i dividendi
ma la loro strategia commerciale e di marketing le allontana
dal loro obiettivo dichiarato, trasformandole in vere e proprie
Imprese (...) Ho visto consigli di amministrazione che funzionano
secondo una logica puramente contabile. Sembra che si preoccupino
principalmentee di individuare "la missione proficua"
(mission rentable), un termine ormai di uso comune (...) Queste
strutture hanno prodotto delle nomenklature che non hanno più
nulla di umanitario, né per gli stipendi né per
la mentalità. |
PS. a richiesta
di ulteriori chiarimenti, il CESVI ci manda una lettera. |