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Operatori e Operati Sociali *)



(tessereAmano 6/2002)

Nessuno è perfetto, siamo tutti disabili in qualcosa... ma "Disabile" è un termine ufficiale. Perciò occorre una premessa, che qualifichi "ufficialmente" il rapporto tessitura-disabile. Questo rapporto non funziona in campi neutri ma rientra nel dominio di quelle istituzioni che garantiscono allo Stato Moderno un certo controllo sulle persone marcate "Disabile" (fisico, psichico, sociale, etnico, penale...). Il controllo è la funzione primaria di queste istituzioni terapeutiche o assistenziali, che gestiscono ed eventualmente recuperano i vari Disabili. Qui perciò l'istruttore di tessitura ha un implicito ruolo da agente di custodia. Nonostante questa primaria funzione (politica), la più vera ragion d'essere di ogni istituzione è la sopravvivenza del proprio apparato (burocrazia). Qui perciò l'istruttore di tessitura ha un implicito ruolo da impiegato. Sono gli stessi due ruoli che vengono imposti a un qualsiasi insegnante di "abili" nelle Pubbliche Scuole: minorenni o minorati, identica gestione. Riassumendo: la didattica tessile per i Disabili è istituzionale per definizione, perciò implica funzioni né didattiche né tessili ma di mero controllo e di apparato. Ciò è inevitabile, anche nella istituzione più perfetta... anche in assenza di abusi inerenti a progetto, fornitura, assegnamento e gestione di un laboratorio di tessitura disabile.

Ciò premesso, chi ha più filo tesserà... in ogni campo, anche in quelli burocratici ed eventualmente corrotti!
Però qualche istruttore di tessitura è lui, tecnicamente, un "disabile tessile". Un volonteroso Operatore Terapeutico-assistenziale generalmente si è specializzato frequentando il suo "Corso di Tessitura". Per motivi alquanto discutibii, i "Corsi di Tessitura" adottano telaini da tavolo che, in ordine di complessità sono: la cornice chiodata, il cosiddetto "pettine-liccio" e il telaio a leve. Per brevità e carità, qui si sorvola sul telaio-cornice. Gli altri due modelli non sono nati per i Disabili. Per qunto riguarda il telaino a leve, qui basti dire che nacque per farci le campionature, perciò è concepito per i progettisti e per gli studenti d'Istituto Tessile (Tecnico o D'Arte). Fu poi ingrandito a fini hobbistici, per realizzarci stoffe un po' più larghe. Si ebbe pure l'ardire di brevettarne dei modelli...
Quanto al "pettine-liccio", si ebbe pure l'ardire di proporlo a dei corsi di formazione professionale, intesi a procacciare posti di lavoro a nuovi artigiani (o piuttosto a vecchi insegnanti). E' un attrezzo scarsamente produttivo ma ha pure una nobile origine: è il recente adattamento a fini hobbistici di un modello popolare tradizionale, usato per tessere dei nastri. Il suo congegno principale è una tavoletta scanalata e forata, che divarica i fili dell'ordito e perciò, è detta "liccio". Tradizionalmente, questo "liccio" non funzionava affatto come "pettine", cioè non batteva. Ogni trama si accostava al tessuto semplicemente premendo la spola (o una apposita stecca, da inserirsi nel passo dell'odito). In questo modo, il tessuto non dipendeva dall'ampiezza dal liccio a tavoletta: era molto più fitto e più stretto (un nastro). Il pettine-liccio "moderno" (che supera ampiamente il mezzo metro) stringe ugualmente il tessuto però non batte più come si deve, tormenta le cimose e poi le rompe.

Eppure (come sopra) chi ha più filo tesserà, anche col pettine-liccio da tavolo. Però va studiata l'altezza dei tavoli: per chi tesse all'impiedi, sulla sedia (ma quale?) o in carrozzella. Se c'è da battere con energia (e càpita comunque), il telaio va fissato al suo tavolo, altrimenti slitta sempre in avanti ad ogni battuta. I pettini sono sempre troppo larghi, meglio riempirne una piccola sezione... e sempre con orditi resistenti. Occorre dichiarare quello che si fa (p.es. una sciarpa). Poi si mostrerà il prodotto finito al suo stesso artefice (non soltanto ai mercatini benefici), altrimenti accetterà questo compito passivamente, come una tra le tante misteriose imposizioni.
Generalmente, il pettine-liccio che troviamo in commercio non ha una impugnatura definita, sicché è piu difficile prenderlo nel centro. Di solito si insegna addirittura ad impugnarlo con due mani (ma dove?), così il Disabile abbandona la spola e magari non sa più se dovrà farla entrare da destra o da sinistra. Di conseguenza, non saprà più neppure se dopo dovrà abbassare od alzare il pettine.
Comunque sia l'attrezzo, un uso decente del pettine-liccio implicherebbe questa sequenza di 6 movimenti: la destra alza il pettine, la sinistra infila la spola, la destra la raccoglie, la sinistra batte e abbassa il pettine, la destra infila la spola, la sinistra la raccoglie. Questa semplice sequenza diventerebbe spontanea perché è un ritmo corporeo. E' una specie di danza, la si può insegnare senza troppe parole persino a un perfetto deficiente. Non pare che nessuno la insegni agli insegnanti.
Ovviamente, la pratica perfeziona l'azione: si ripulisce il gesto, si acquista sicurezza... Ogni gesto però va proposto correttamente fin dal principio: così quello di reggere la spola, che non andrebbe impugnata come una clava ma come un cucchiaio... che deve imboccare la bocca dell'ordito (tale è appunto, il termine tecnico). Oltre agli insegnanti distratti, qui si trovano pure le spole troppo lunghe e perciò più difficili da maneggiare. Magari non sono neppure sagomate a punta ma hanno dei "corni" divaricati che le fanno intoppare nell'ordito. Poi si trovano sempre manovelle e ingranaggi sporgenti che impigliano il filo della trama... d'altra parte, l'accessorio meccanico impreziosisce sempre l'articolo, conferendogli prezzo e dignità.
Si può amare spiegarglielo a parole ma in realtà, molti Disabili faticano a comprendere realmente l'alternanza dei passi nell'ordito. Spesso aprono un passo alla cieca, affidandosi alla fortuna, con l'angoscia di sbagliare, con umiliazione di chiedere sempre il soccorso dell'istruttore, con la implicita conferma di essere cretini... Qui c'è pure il terzo incomodo: quella tacca centrale "di riposo" sui castelli del telaio, dove il pettine dovrebbe poggiare quando non si tesse ma si vuole soltanto tenere chiuso l'ordito. Perché non disturbino il ritmo su e giù, queste tacche centrali andrebbero turate con due cubetti di sughero. Si può anche ordire fil-a-fil, cioè con due colori che contrastano, così sarà più facile controllare l'alternanza dei passi: entri a destra e vedi alzarsi i rossi, a sinistra vedi alzarsi i fili blu. La scoperta del segreto dell'ordito così non è frutto di ragionamenti: sarà una esperienza immediata. Da questa, per forza, germogliano pensieri... ma in principio è l'azione, non il logos. Questo sarebbe, forse, terapia. Se invece "terapia occupazionale" significa soltanto tenere il Disabile occupato, allora non serve neppure il telaio. Ci si può limitare alla manifattura dei gomitoli senza ulteriori e pratici scopi: attività di grande successo, perché attrae generalmente il Disabile. Walter Benjamin ha pur celebrato filosoficamente "quanta magia c'è nel semplice gesto di avvolgere un gomitolo"... ma non ogni incantesimo è benefico. Così la tessitura, che è altissima magia, potrà rivelarsi ancora più nera, se l'"Operatore" non offre all'"Operato" i suoi veri e vivaci colori.

*) Il titolo deriva da Piero Simondo. Occasionale critico di arte tessile alla 1a Biennale di Chieri, fece notare a una Operatrice Sociale che i suoi utenti, erano, logicamente degli Operati Sociali.

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