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Madre tessitura e Prodotto industriale

La tessitura non è proprio un'arte come le altre. Noi oggi si pensa alle arti come "maggiori" o "minori", ma questa gerarchia é sempre variata da un epoca all'altra. Nel Medio Evo, l'Arte della Lana era la massima tra le arti maggiori. Ancora prima, secondo Platone, la tessitura manifestava l'Idea di Repubblica: era un archetipo dell'arte del governo. Presso i Greci e i Latini infatti, i generali, i sapienti e le tessitrici erano sotto la protezione di un' unica dea: Pallade o Minerva. Si legge nei versi di Goethe (I Faust, atto I) che ogni vero filosofo deve pensare come un tessitore. Saussure, dopo di lui, ha spiegato la lingua (questa concreta realtà del pensiero) in termini tessili. Se uscissimo un momento dall'Europa, troveremmo il telaio come modello della mente cosmica presso tutte le culture, dalle più cosiddette evolute alle più cosiddette primitive. La tessitura è dunque la più intellettuale delle arti. Con la sua meccanizzazione, cominciò la vergogna dell'Occidente intorno alle origini della Ragione.

Secondo il noto filosofo Schelling "l'essenza dello spirito umano è la follia". Secondo me, la tessitura è il primo caso di follia tecnologica. Non è la più antica scoperta dello spirito umano ma, addirittura, è la sua stessa istituzione. Insomma, non sarebbe stata l'umanità ad inventare la tessitura, fu invece nell'invenzione della tessitura che l'umanità si istituì come tale, con la sua differenza specifica rispetto agli altri animali. Non lasciamoci ingannare dalla struttura dei nidi: in natura, il tessuto non esiste: esso è puro artificio, cioè arte, cultura, mente, (e via sinonimando...). Dopo avere inventato il telaio (ovvero: dopo essersi inventato come homo textilis) l'uomo interpreterà il cosmo come un tessuto, proverà ad indovinare chi ne sia il Tessitore, eccetera eccetera.

Gli Archeologi Sperimentali sostengono che tutta la cultura cominciò con il coltello, cioè con la scheggia di ossidiana. Senza coltelli, dicono, non si potrebbe tagliare il filo, dunque non si potrebbe nemmeno pensare i tessuti. Personalmente, non ne sono sicuro, perché quando non trovo le forbici, io taglio sempre il filo coi denti (in quanto tessitore autodidatta, io stesso sarei archeologo, o magari antropologo, sperimentale). Perciò mi pare proprio che, prima di tagliare i fili, ci sia il problema di costruirli, cioè di coagulare le fibre in un flusso, insomma: di filarle. In fondo, non importa; dal Solve et coagula degli alchimisti al coupure / flux di Deleuze, ogni diatriba intorno all'origine è, in fondo, un ennesimo aspetto del classico caso uovo / gallina. Comunque sia, atteniamoci piuttosto al fatto più concreto: collegando entità disparate, la mente e il telaio svolgono analoghe funzioni. Sempre in bilico tra illusione e realtà, essi producono il tessuto del cosmo: il velo di Maya. A questi ordigni tessili, occorre oggi aggiungere la piu recente estensione del telaio (e, di conseguenza, della mente): il moderno computer. Questo infatti (per la nota eredità delle schede perforate) discenderebbe in linea genetica dal telaio Jacquard dell'era classica... che è poi l'epoca stessa cui si deve il moderno concetto di follia.

Da tali premesse (altamente filosofiche) della tessitura, discende altresì che chiunque, normale o meno, può trarre dall'esperienza del tessile suggerimenti per destrutturare e ristrutturare la sua esistenziale apprensione del sé, del sociale, del cosmo. Oltre a queste implicazioni filosofiche (che sono peculiari da sempre alla tessitura) ai nostri giorni se ne aggiungono altre, ugualmente preziose. Ogni prodotto umano viene alla luce con l'aiuto di qualche macchina, dalla più semplice alla più complessa. Tutte le macchine funzionano secondo una logica ma, tra di esse, esistono logiche diverse, come succede nei cervelli dei computer e in quelli degli uomini.
La logica che funziona nella macchina industriale è diversa da quella della macchina manuale. Così anche l'energia del corpo (che si applica alla macchina manuale) è diversa dall'energia che si va ad applicare alle macchine industriali. All'interno di una meccanica che può essere anche identica (come nel telaio a mano e nel telaio industriale), funzionano due logiche e due energie diverse.

La logica industriale applica un flusso di energia costante a un flusso di materiali uniformi. L'energia industriale obbedisce a un comando programmato: la sua ubbidienza è cieca perché è priva di percezioni. Essa continuerebbe le sue operazioni, anche quando sia esaurito il flusso dei materiali in lavorazione.
L'energia corporea, invece, viene emessa in modo qualitativamente discontinuo. Infatti, oltre alle proprie variazioni soggettive, essa interagisce con i materiali. Questo succede perché essa li percepisce, nel mentre che li maneggia (il corpo è la percezione dell'oggetto). La cieca energia industriale continuerebbe dunque ad applicarsi indefinitamente, salvo l'applicazione di un feedback. Questo feedback non va confuso con la percezione (come magari vorrebbero i comportamentisti). La risposta della macchina al feedback deve essere unica e utile. Quando essa non corrisponde al programma, distrugge il prodotto o lo danneggia.
La risposta del corpo alla percezione, invece, può essere molteplice e dilettevole. Deviando dalla ripetizione, essa non distrugge: crea. La percezione del corpo fabbricante devia (o differisce) continuamente l'energia che esso applica al prodotto del proprio lavoro. L'utente del manufatto avrà, poi così, a disposizione dei segni. Questi sono segni del corpo, impossibili a riscontrarsi in un prodotto industriale.

"Si vede che è fatto a mano"... ma cosa si vede veramente? Il segno del corpo non può essere univoco, soggetto com'è ad una molteplicità di percezioni. Queste percezioni sono sollecitate dai materiali in lavorazione, che devono continuamente essere scelti con gesti concreti. Qui starebbe la famosa responsabilità dell'artista o dell'amante che, secondo la logica industriale, sarebbero degli irresponsabili, perché imprevedibili (ovvero un po' folli). La macchina industriale invece, obbedisce alla prevedibile logica della ripetizione, che è necessaria alla produzione in serie. I prodotti di una serie industriale sono identici tra loro, e tutti eseguiti secono un unico modello. Inoltre la produzione in serie imprime i segni della ripetizione meccanica anche sul corpo del singolo prodotto, che darà così a vedere superfici uniformi. Questa perfetta uniformità, insieme con la perfetta corrispondenza al modello progettato, è la bellezza industriale. Questa è la bellezza che noi contemporanei riconosciamo ed apprezziamo più facilmente, perché noi la incontriamo tutti i giorni, sia concretamente negli oggetti in uso, sia astrattamente nello spettacolo delle comunicazioni promozionali (la pubblicità).

La bellezza è un'assunzione culturale delle percezioni. Si apprezza soltanto quando si vede ma, prima ancora, si vede soltanto quando si è capaci di vedere. Percepire secondo la logica del manufatto non rientra nella nostra cultura industriale (non è neppure materia d'insegnamento nelle scuole). La retta percezione del manufatto, oltre che dilettevole, può essere utile per correggere molte vergognose illusioni culturali, a partire dall'infame accoppiata "sviluppo/sottosviluppo". E su questa infamità, il filo del discorso si può avventurare nelle trame più estreme...

1995/2000
Adattamento da "Museo e bottega" (1995), per il "Dizionario Universale del Design" di Dino Gavina , cui si deve il lnuovo titolo.

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